Il sole 24 ore e la Fondazione Agnelli hanno a cuore da tempo la formazione degli insegnanti italiani. Recentemente ce lo hanno ricordato con due interventi. Per primo, il direttore Andrea Gavosto si è rivolto direttamente alla neo ministra dell’istruzione Lucia Azzolina per chiedere di superare l”l’ambigua opzionalità” contrattuale della formazione dei docenti italiani, che dovrebbe invece essere “obbligatoria e verificabile”. A breve giro, due giornalisti esperti del settore scuola del Sole 24 ore hanno bacchettato i docenti “tenuti ad iscriversi” tutti- a parer loro -alla piattaforma centralizzata SOFIA per la formazione, implementata dal MIUR nel 2017. Finora, commentano mostrando dati di un monitoraggio ministeriale, pare che gli insegnanti abbiano ignorato l’obbligo: iscritto solo il 50%. Peccato che far passare la notizia che 1 docente su 2 non sia iscritto ad una piattaforma obbligatoria su cui si baserebbe il sistema di formazione sia falso. Non esiste alcun obbligo di iscrizione alla piattaforma SOFIA, la quale non esaurisce le possibilità di aggiornamento per i docenti. Ogni conclusione su quanti docenti si aggiornino è quindi priva di significato. Anche dichiarare che gli insegnanti possano godere di “150 ore di permessi retribuiti, per aggiornarsi” è falso: i giorni effettivi da contratto sono soltanto 5, da richiedere preventivamente al dirigente scolastico che li concede “compatibilmente con la qualità del servizio.” Perché questo interesse e maldestro accanimento? Perché la formazione degli insegnanti italiani è un campo di battaglia sindacale e culturale da sempre; per un settore progressivamente proletarizzato come quello della scuola oggi si intreccia alla retorica della meritocrazia e della trasparenza. Solo l’insegnante che si forma attraverso la piattaforma centralizzata, lasciando traccia burocratica del suo operato, è un “buon insegnante”, ed è meritevole di incentivo salariale. A patto che l’attività abbia “ricaduta in classe”, “producendo benefici documentabili nel curriculum”. L’aggiornamento deve prevedere un controllo automatizzato ex ante ed ex post, che riduca al minimo “il rumore” generato da scelte dettate da aspirazioni e passioni personali o da motivazioni intrinseche, irriducibili, anzi mortificate dal richiamo dell’incentivo. Una formazione di tipo ingegneristico-logistica, in cui tutto ciò che è implicito o tacito è per definizione inaffidabile.
Il sole 24 ore e la Fondazione Agnelli hanno a cuore da tempo la formazione degli insegnanti italiani.
La recente firma dell’ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale integrativo sulla formazione in servizio di insegnanti, personale tecnico-amministrativo ausiliario ed educatori ha riportato il tema alla ribalta. L’occasione è ghiotta per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei nuovi vertici ministeriali su un elemento che sarà fondamentale per i lavoratori del comparto, in vista di un possibile e prossimo rinnovo contrattuale.
Per primo, il 20 dicembre scorso, il direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, si rivolge proprio dalle pagine del Sole 24 ore direttamente alla neo ministra dell’istruzione Lucia Azzolina, sottolineando che:
La legge della Buona scuola di Renzi aveva previsto l’obbligatorietà della formazione in servizio e dell’aggiornamento: l’ultimo contratto di lavoro nazionale della scuola sottoscritto da Miur e sindacati l’ha invece riportata a un’ambigua opzionalità. In queste settimane sono partite le trattative per il nuovo contratto. Sarebbe grave se – per rincorrere le ventate di populismo che attraversano la scuola – la necessità di rendere obbligatoria e verificabile la formazione in servizio restasse di nuovo lettera morta.
Cosa intende dire la Fondazione Agnelli?
Ad oggi, la formazione in servizio degli insegnanti di ruolo, come tutti i dipendenti pubblici, è regolata dal Contratto Collettivo Nazionale (CCNL), rinnovato dopo oltre 10 anni[1], durante i quali si sono susseguiti blocchi degli scatti stipendiali, operati sia da governi di centro destra che di centro sinistra. Un colossale risparmio dello Stato ricavato dai redditi dei lavoratori della scuola, impoveriti drasticamente da una progressiva perdita di potere d’acquisto.
In sintesi, per punti:
- La formazione in servizio è un aspetto inerente e specifico della funzione docente, da svolgersi all’interno delle cosiddette “attività funzionali“, sulla base delle decisioni collegiali.
- L’impianto contrattuale si interseca con la legge 107/2015 (Buona Scuola) che definisce (comma 124) la formazione in servizio come “obbligatoria, permanente, strutturale” e istituisce il Piano Nazionale della Formazione docenti (DM 797/2016, che non prevede alcun ulteriore obbligo) su cui vale sempre la pena rileggere la lucida analisi all’epoca scritta da Giovanni Carosotti (qui).
- Per sostenere la formazione, l’aggiornamento e i “consumi culturali” dei docenti a tempo indeterminato nasce la cosiddetta “carta del docente” (DPCM 23 settembre 2015), ossia una quota finanziaria annua di 500 euro, da spendere per:
- Nel 2017, infine, nasce la piattaforma centralizzata SOFIA, una sorta di luogo virtuale di “incontro tra domanda e offerta di formazione”, un catalogo delle attività fornite da enti certificati (secondo precedente direttiva ministeriale) alle quali “i docenti potranno accedere” (Nota Miur 22272/2017).
In sintesi, dunque:
oggi la formazione è obbligatoria, coerente con le scelte collegiali, e da svolgersi in orario di lavoro oppure può essere autonomamente collocata al di fuori dell’orario di servizio. Per far fronte alle spese, gli insegnanti possono usufruire dei 500 euro della carta del docente.
Quando il direttore della Fondazione Agnelli dichiara la necessità – pena l’essere tacciati di populismo – di “rendere la formazione obbligatoria e verificabile”, allora, cosa intende dire?
La risposta sembra essere:
la formazione deve essere obbligatoria e rendicontabile sia in orario di servizio che non; non è formazione quell’attività che non sia centralizzata e monitorabile in termini di scelte, tempi e risultati. Non deve esistere alcuna possibilità di scelta autonoma da parte dei docenti. Questi cambiamenti sono necessari, dunque devono essere perseguiti senza alcun riferimento alla retribuzione dei lavoratori.
Bruno e Tucci: gli insegnanti non rispettano le regole.
A breve giro, un altro articolo del 13 Gennaio scorso di Eugenio Bruno e Claudio Tucci, sullo stesso Sole 24 ore, poi ripreso nell’edizione online il 17 Gennaio, torna a battere sul tema, in maniera piuttosto maldestra.
Gli autori bacchettano i docenti, che pur essendo “tenuti ad iscriversi” alla piattaforma SOFIA, sembrano finora aver ignorato l’obbligo: ad oggi iscritto solo un insegnante su due.
“Un dato che dice già tanto”, commentano. Sarebbero proprio i dati a parlare, suggeriscono gli autori, che rendono conto di un monitoraggio dell’amministrazione centrale[1] a tre anni dal Piano Nazionale di Formazione della Buona Scuola.
Dei “circa 700 mila insegnanti a tempo indeterminato attualmente in organico”- affermano Bruno e Tucci – i 2/3 sembrano aver utilizzato il tesoretto dei 500 euro della carta del docente “per comprare tablet o pc”; meno di 1/3 libri o corsi di formazione. Eppure i docenti “possono contare su oltre 150 ore di permessi retribuiti, per aggiornarsi”.
Come a dire: nonostante l’obbligo ad aggiornarsi attraverso la piattaforma centralizzata, nonostante l’obolo del governo Renzi (500 euro) e nonostante la possibilità di usufruire di permessi dal lavoro, gli insegnanti preferiscono comprarsi tablet e computer al posto di fare aggiornamento.
Un’operazione mediatica di delegittimazione a cui siamo da tempo abituati, e che suggerisce tra le righe una chiave di lettura di certo non originale, oscillante tra la stereotipata immagine del dipendente pubblico scansafatiche e quella del docente riottoso a qualsiasi cambiamento della sua routine.
I due autori, tuttavia, forse sotto l’urgenza di fare pressione alla nuova ministra, pur essendo tra i redattori esperti del settore istruzione del Sole 24 ore, commettono due macroscopici errori.
1) È falso che “gli insegnanti [siano] tenuti ad iscriversi” alla piattaforma SOFIA: non esiste alcun obbligo di iscrizione. Inoltre le iniziative della piattaforma non esauriscono le possibilità di formazione per i docenti, di conseguenza ogni conclusione su quanti docenti si aggiornino è priva di significato.
Far passare la notizia che 1 docente su 2 non sia iscritto ad una piattaforma obbligatoria su cui si basa il sistema di formazione, è ingannevole.
L’articolato sistema normativo-contrattuale che regola la formazione degli insegnanti non prevede (attualmente) né obblighi di monte ore annuali da svolgere, né obblighi di iscrizione a piattaforme online. Un insegnante può formarsi anche seguendo percorsi non registrati sulla piattaforma, all’interno della quale è infatti prevista la possibilità di “gestire le iniziative formative alle quali hai partecipato e che non sono registrate sulla piattaforma SOFIA” (vedi figura seguente).
Sembrerà paradossale a Bruno e Tucci, come pure al direttore della Fondazione Agnelli Andrea Gavosto, ma oggi leggere libri di Fisica o di Letteratura seduti alla propria scrivania, o ascoltare una conferenza – di persona o in streaming – sono ancora considerati momenti di formazione personale per un insegnante.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (7320 Marzo 2019) ci ricorda, peraltro, che per gli insegnanti italiani la formazione è parte integrante dell’attività lavorativa:
“gli obblighi di lavoro non si esauriscono nell’attività di insegnamento, bensì si estendono a tutte le attività funzionali rispetto alla prima, che comprendono «programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento e formazione, compresa la preparazione dei lavori degli organi collegiali, la partecipazione alle riunioni e l’attuazione delle delibere adottate dai predetti organi”.
Le “attività funzionali” sono quantificate e disciplinate dagli accordi tra parti e non esistono ulteriori obblighi.
2) È falso che gli “insegnanti [abbiano a disposizione] 150 ore di permessi retribuiti per aggiornarsi”.
Gli autori confondono due istituti contrattuali differenti: i permessi per “il diritto allo studio” con i “permessi per aggiornamento”.
I permessi per il diritto allo studio sono oggetto di contrattazione nazionale integrativa e possono essere concessi, a domanda, sulla base di una serie di criteri, per svolgere attività di studio finalizzate all’acquisizione di titoli o qualifiche (laurea, dottorati di ricerca, attestati professionali riconosciuti dall’ordinamento, etc)
I giorni effettivi destinati all’aggiornamento e formazione, invece, sono soltanto 5 (CCNL 2016-18), da richiedere preventivamente al dirigente scolastico che li concede “compatibilmente con la qualità del servizio.”
Pensare, come scrivono Bruno e Tucci, che gli insegnanti abbiano a disposizione “150 ore di permessi retribuiti per aggiornarsi” fa davvero sorridere. Significa ritenere possibile che un docente di ruolo – che lavora in classe in media 200 giorni all’anno – possa assentarsi circa 30 giorni (150 ore) per seguire corsi a destra e a manca.
Semplice svista o lapsus rivelatore di un bias determinato da condizionamento delle aspettative? (= i professori non sfruttano nemmeno i loro “privilegi contrattuali” pur di non lavorare un poco di più).
La formazione come campo di battaglia sindacale e culturale
La formazione degli insegnanti è oggi più che mai un tema delicatissimo, sia da un punto di vista sindacale che culturale. Si intreccia, infatti, alla progressiva proletarizzazione di un intero comparto e alla retorica del “merito”, dell’incentivo e della trasparenza.
Il riformismo ministeriale[2] rigorosamente progressista, con malcelata ironia, intende convincere docenti e sindacati che:
“MENTRE LE LEGGI [..] SONO MOLTO CHIARE SUL DOVERE DELLA FORMAZIONE, IL CONTRATTO DI LAVORO È ASSAI EVASIVO. QUALCHE PRONUNCIA GIURISPRUDENZIALE (BUFFO ANDARE IN TRIBUNALE PER IL PROPRIO AGGIORNAMENTO!) RICHIEDE DI CONTEGGIARE CON PIÙ CERTEZZA LA FORMAZIONE PERMANENTE TRA I PROPRI OBBLIGHI DI SERVIZIO. IL FATTO È CHE LA FORMULA DELLE 40 ORE + 40, AGGIUNTIVE ALL’INSEGNAMENTO, ORMAI È UNA COPERTA TROPPO CORTA (..). NEL FRATTEMPO IL LAVORO DEL DOCENTE È CAMBIATO[..]
FARE FORMAZIONE DEVE ESSERE UNA ATTIVITÀ GRATIFICANTE E CONVENIENTE, CHE PRODUCE BENEFICI DOCUMENTATI NEL PROPRIO CURRICULUM. [..]
IL PROBLEMA NON POTRÀ ESSERE ACCANTONATO RIPETENDO STANCAMENTE CHE NON CI SONO RISORSE [..]“
E ancora[3]:
“Nell’attesa di un ripensamento contrattuale complessivo del tempo di lavoro dei docenti, si dovrebbero introdurre meccanismi di incentivazione economica legati alla frequenza delle attività di formazione”.
Pare difficile sostenere l’aggiunta di ulteriori oneri contrattuali non retribuiti ad una categoria che sconta ancora i 10 anni di blocco salariale e scatti stipendiali, ma che nel frattempo si è vista modificare dall’interno, passo passo, l’attività quotidiana. Pensiamo solo alle varie funzioni da assumere a titolo gratuito per far funzionare la “macchina delle riforme”: dal tutoraggio dell’alternanza scuola lavoro nelle scuole secondarie all’obbligo di svolgimento e correzione dei test INVALSI, oggi rimasti in forma cartacea solo alla primaria, dai futuri coordinatori dell’educazione civica onnicomprensiva di Fioramonti, alla rendicontazione, elettronica e non, sempre più diffusa, come prova delle varie attività svolte.
Tuttavia sembra urgente raddrizzare definitivamente quell’impianto di residuale libertà e autonomia insita nel profilo docente; impianto che ne rappresentava la sostanza stessa della professionalità, progressivamente infiacchita da una disciplina del reclutamento e della formazione iniziale frammentata e usata come spot elettorale, priva di qualsiasi visione o progetto culturale.
La strada più breve sembra essere quella di far leva sulle solite categorie morali del merito e dell’etica del buon insegnante, sul bisogno di riconoscimento e approvazione da parte del capo e della comunità di riferimento.
Solo chi si forma è meritevole, e va incentivato. Ma a patto che si formi nel modo giusto: attraverso la piattaforma centralizzata, lasciando traccia burocratica del suo operato, con che attività abbiano “ricaduta in classe”. È solo questa la formazione che deve “gratificare” l’insegnante di oggi, “producendo benefici documentabili nel curriculum”.
Una formazione di tipo ingegneristico-logistica (Valeria Pinto, 2012[4]), in cui tutto ciò che è implicito o tacito è per definizione inaffidabile; l’aggiornamento deve prevedere un controllo automatizzato, che riduca al minimo “il rumore” generato dalle scelte dettate da aspirazioni e passioni personali o dalle motivazioni intrinseche, irriducibili, anzi mortificate dal richiamo dell’incentivo.
La formazione di cui parlano, indifferentemente, la Fondazione Agnelli, il Sole 24 Ore o gli Ispettori progressisti deve rispecchiare fedelmente gli indirizzi stabiliti a livello centrale, ubbidientemente recepiti dai Dirigenti scolastici e coerentemente integrati, nel loro “atto di indirizzo”, con gli obiettivi quantificabili del Rapporto di Valutazione di istituto e del Piano di Miglioramento.
La scuola oggi è questa qui.
Per finire
Se fosse vero che tutta la formazione accreditata passa dalla piattaforma SOFIA, gli insegnanti non potrebbero seguire corsi della Fondazione Agnelli, che a quanto pare non rientra tra gli enti accreditati (pur gestendo corsi in accordo con l’Ufficio Regionale del Piemonte, da anni).

Avranno considerato gli autori del Sole 24 ore l’assoluta importanza di monitorare l’affidabilità degli enti accreditati?
[1] Si veda G: Cerini: “Formazione in servizio: com’è andata in questi tre anni?”, in http://www.scuola7.it/2020/166/?page=2.
[2] G. Cerini “Riparte la formazione (in servizio)?”, in Scuola 7, nr.155
[3] G. Cerini, intervento nota 1.
[4] V. Pinto, “Valutare e punire”, Cronopio, 2012: pagg. 74-78, in riferimento alla nuova idea di sapere come “epistemologia logistica” e pag. 104 in riferimento ai “meccanismi molteplici [ adoperati] per ridurre al minimo le giacenze della conoscenza [..] o gli elementi di disturbo dei suoi flussi logistici.
Ingrati, questi docenti italiani. Il MIUR mette a disposizione su SOFIA un florilegio di occasioni formative (a pagamento, tanto c’è la “carta del docente”) e questi privilegiati fannulloni non ne approfittano. Quando invece potrebbero imparare qualcosa sul DIVERSITY MANAGEMENT: “4 moduli: si parte dal concetto generale di diversità in azienda [!] per approfondire quella più nota, la disabilità [ma davvero!]. Il corso ha l’obiettivo di estendersi anche a tutte le altre diversità (disabilità, età, genere, religione, orientamento sessuale, etnia) al fine di valorizzarle all’interno delle organizzazioni lavorative.” (già, in effetti i docenti proprio non sanno che cosa sia, la diversità).
Oppure potrebbero fare passi avanti nel GAME DESIGN PER VIDEOGIOCHI: “Il corso mira a dotare l’insegnante, dei fondamenti di game design: teoria del game design, psicologia, teoria dei giochi ed utilizzo dell’engine, utilizzabili per la progettazione di video giochi, progetti di gamification e progetti ludici non digitali. Verranno introdotti strumenti come Google documenti, Google sheet, e strumenti per l’analisi di mercato.” La scuola, in fondo, è un gioco.
E se studiano pochino, sarà questione di motivazione: MOTIVATION TEENAGE LEARNERS (“è il corso ideale per aiutarti a coinvolgere i tuoi studenti teenagers e, soprattutto, per capire la psicologia di ragazzi che attraversano un periodo molto delicato della loro vita. Comprendere un teenager significa mettersi nei suoi panni e scoprire che molti suoi comportamenti e abilità sono influenzati dal periodo storico e dal livello tecnologico con il quale si rapporta ogni giorno [quando si dice profondità di analisi]. Questo corso ha lo scopo di aiutarti a far coincidere il tuo insegnamento con i bisogni e gli interessi degli adolescenti [e se si interessano poco di fisica e molto di calcio?], ponendo particolare attenzione al fatto che siano ragazzi o ragazze, tredicenni o diciannovenni. Con strategie e tecniche studiate appositamente [nulla è lasciato al caso], scoprirai come conquistare la loro attenzione o quando avere il polso fermo [!]. Allo stesso modo, saprai quando è il momento di avvicinarti al loro mondo, insegnando, ad esempio, attraverso video e musica [la trigonometria, bailando]. Lo scopo di Motivating Teenage Learners è quello di ispirare i ragazzi e motivarli a studiare.”
“Contro logorio della vita moderna” (scolastica”), imprescindibile la MINDFULNESS: “Un percorso di riduzione dello stress basato sulla mindfulness (MBSR) La mindfulness è uno stato della mente caratterizzato da una forma di attenzione aperta e accogliente a tutto quello che emerge dall’interno: sensazioni del corpo, emozioni, pensieri: `consapevolezza’ o `presenza mentale’. Una vastissima letteratura scientifica ha dimostrato come la coltivazione, attraverso pratiche specifiche, di tale stato della mente possa produrre effetti positivi a vari livelli e protocolli basati sulla mindfulness sono sempre più spesso utilizzati per promuovere la salute fisica e mentale in diversi contesti: ospedali, carceri, aziende, oltre che in interventi psicoterapeutici. Nella scuola il programma MBTS può aiutare tutte le componenti coinvolte nel processo educativo: l’esperienza della mindfulness nutre le attitudini che migliorano competenze relazionali quali l’empatia, la capacità di ascolto di sé e dell’altro, la regolazione delle emozioni. Potenzia la forza dell’attenzione e tutte quelle abilità dipendenti, sia in chi insegna, sia in chi apprende.”
In ospedali, carceri, aziende, in psicoterapia. E, ovviamente, anche a scuola.
Ove tutto fallisse, resta pur sempre “IMPARIAMO A BERE E A PARLARE DI VINO – DIALOGHI VINARI: 4 incontri dedicati agli appassionati del vino, ma non troppo; a chi vuole iniziare a bere bene, ma non troppo; a chi crede di sapere di vino, ma non troppo; assaggeremo vini, dai bianchi ai rossi, passando dai più semplici, ai più complessi, dai barricati ai non; dagli autoctoni agli internazionali. Insomma un percorso guidato e senza fronzoli, attraverso il variegato e, alcune volte avariato mondo del succo d’uva fermentato, con un linguaggio da bevitore appassionato e non da tecnico o da professore [non sia mai!]. Affronteremo meandri sconosciuti e pseudo segreti di cosa si nasconde nel bicchiere, favorendone un bere consapevole. Gli incontri saranno tenuti da ***, un uomo che ha dato una svolta alla sua vita da quando ha incontrato altri come lui, che vivono solo per nutrirsi e che bevono vino da quando hanno capito che è meglio dell’acqua.”
Se gli oltre 10.000 euro per una Doppia Magnum di Château Lafite-Rothschild del 2000 ce li mettesse il Consiglio di Istituto, ci si potrebbe anche fare un pensierino.
Questi sono i risultati aberranti (quanto meno in – buona – parte) della digitalizzazione-informatizzazione intesa come sostituta perfetta dei rapporti dialettici umani faccia a faccia, in compresenza visiva e/o uditiva. Su questo argomento penso ci sia una letteratura recente, io conosco un pochinissimo Byung-Chul Han, filosofo tedesco di origine sud-coreana, che insegna Filosofia e teoria dei media.
«Pensare, come scrivono Bruno e Tucci, che gli insegnanti abbiano a disposizione “150 ore di permessi retribuiti per aggiornarsi” fa davvero sorridere. Significa ritenere possibile che un docente di ruolo – che lavora in classe in media 200 giorni all’anno – possa assentarsi circa 30 giorni (150 ore) per seguire corsi a destra e a manca.»
Basta fare 2+2 per capire dove puntano questi signori – la cui opera di informazione sia chiaro è assolutamente specchiata, ammirevole, esemplare, limpida e del tutto priva di luride furfantesche intenzioni, o della benché minima putredine propagandistica: quei giorni ci sono. Si chiamano Ferie estive o se preferite periodi di vacanza didattica di Natale e Pasqua. Lì punta la bussola di costoro, non ci vuole nulla a capirlo. Perché un docente non ha diritto al riposo e al recupero delle energie. Deve CREPARE.
[…] padronale che domina l’informazione in Italia lavora alacremente, da anni, per costruire una base minima di consenso alle misure di […]
Sempre più autoritari contro l’articolo 33 della Costituzione, sempre più accaniti contro gli insegnanti, sempre più falsi nell’informazione.
Questo è il potere finanziario, mediatico e politico in Italia. Potere per il quale una scuola culturalmente rigorosa e politicamente critica è un ostacolo da rimuovere.
Più che rimuoverla, privatizzarla e così sottometterla ad interessi privati, di mercato, profitto ed autopromozione, obbligarla alla caccia ed acquisizione di finanziamenti privati di qualsiasi tipo, più o meno filantropici, senza valutarli (v. caso Epstein, non troppo discusso in Italia, per quel che ho capito, dove erano coinvolti Harvard e MTI, e dove anche i capi accademici si svegliano quando non possono farne a meno, v. https://www.harvard.edu/president/news/2019/message-to-community-regarding-jeffrey-epstein, da leggere senz’altro, sett. 2019; riporto l’inizio in it.: “Tutti noi siamo rimasti inorriditi dalle rivelazioni riguardanti Jeffrey Epstein e vi scrivo oggi per aggiornare la nostra comunità sulle iniziative che stiamo prendendo per informarvi sulle sue azioni filantropiche riguardanti Harvard. Vorrei iniziare evidenziando quanto segue: le azioni criminali attribuite ad Epstein erano assolutamente ripugnanti. Offendono in modo palese i valori della nostra società e di questa istituzione e le condanniamo …….” “I profoundly regret Harvard’s past association with him.” – quando i buoi sono già scappati).
MIT e Epstein https://www.theverge.com/2020/1/10/21060506/jeffrey-epstein-mit-report-donation-scandal-rafael-reif-investigation, gennaio 2020
Forse bisognerebbe creare classi meno numerose, chiedere che a scuola, come minimo, gli studenti studino e si comportino bene, che i loro genitori non minaccino gli insegnanti, vedendo un reato di persecuzione in ogni valutazione non pari alle loro aspettative. Dare uno stipendio adeguato a chi sta in aula a far lezione. Almeno questo…poi forse potranno far le bucce agli insegnanti. Tutti hanno da farsi perdonare da loro.
Una domanda che mi frulla nella testa da tempo. Perché non si può accedere liberamente alla piattaforma SOFIA? Nel senso che se io fossi interessata a vedere, nel concreto, di cosa si tratta, perché non posso anche solo vederla anch’io, in un modo passivo?
Bella domanda. Perché il MIUR non rende pubblica l’offerta di corsi “di aggiornamento” per il proprio personale? Eccesso di modestia? Timore di rendere pubblici corsi di esorcismo e dialoghi vinari? Paura che poi i finlandesi magari copino? Ignoramus et ignorabimus.
I. Cervesato. Volevo anch’io evidenziare il saccente e vacuo invito a imparare come coinvolgere gli “studenti teenagers … che attraversano un periodo MOLTO delicato della loro vita”, che “sono influenzati dal periodo storico e dal livello tecnologico” [sarebbe la prima volta che succede nella storia dell’umanità], per “far coincidere il tuo insegnamento con i bisogni e gli interessi degli adolescenti” [bisogni ed interessi che ovviamente si sono sviluppati così come crescono unghie e capelli, e gli adulti stanno a guardare, non ne sono responsabili, devono prenderne atto e adeguarsi]. Ma poi ho visto, su una tv privata, di peggio: una pubblicità camuffata da notizia, dove si elogia un videogioco bellico, già di grande successo, il quale, come dichiarerebbe un professore giapponese, migliora e fa valutare la propria intelligenza, perché le sparatorie sono separate da “momenti più riflessivi”, e questi videogiochi saranno messi a disposizione gratis per 3 ore.
Dopodiché, una volta che la gente ne è imprintata, verranno venduti in milioni di copie.
Sentire una fondazione gestita da soggetti che a scuola neanche andavano bene discutere di come la scuola vada gestita, adducendo presunte inefficienze altrui, merita il più radicale rifiuto all’ascolto. Sono sicuro che almeno il 40% della popolazione adulta in Italia se avesse a random avuto la possibilità di scrivere i contenuti dell’articolo di giornale (al posto della linea sovietico-editoriale imposta), ne sarebbe uscito un discorso molto più arguto, sofisticato e sostanzioso!
Il piano globalista destrutturante sta giungendo al termine (perchè esisterà sempre nella storia un capitale più grande del capitale parassitario), è oramai evidente in tutti i settori della vita reale. Siamo pieni di contraddizioni ed interessi particolari, ma l’unico denominatore comune è che l’intelligenza è un pericolo per il potere (soprattutto quando il potere è inetto). L’intelligenza fa contorcere le budella dall’invidia coloro che pagano per corsi e contro-corsi, perchè come diceva qualcuno che vorrei tanto ricordare “la vera ricchezza non si compra”…
Qui dovremmo tutti essere liberi di seguire in libertà le formazioni che desideriamo, altro che quello che qui legifererebbero! Bisogna aumentare l’accesso al diritto allo studio, non diminuirlo con la scusa della “competenza” (parola a random pronunciata spesso da chi non ha mai preso un buon voto in antologia o matematica)!
Non esiste finanziamento, collusione, partita truccata che possa nascondere per sempre la genuinità dell’imprevedibilità… La stessa imprevedibilità che condanna il mondo dell’editoria ad arrendersi che non saranno mai in grado di scrivere libri di testo in grado di attingere al sacro Graal della conoscenza. Ognuno è a suo modo un genio, quindi non puoi presumere che solo in un certo modo si possa acquisire cultura, o che quella cultura sia utile. La mente umana è nata per rispondere agli stimoli reali, quindi nelle maniere più inaspettate trovare soluzioni e strategie geniali… Altro che libri, corsi e controcorsi standardizzati! L’imprevedibilità ha formato le migliori menti scientifiche nei secoli d’Italia, dal Rinascimento in poi!
John Henry Newman diceva che è meglio una scuola che ti lascia il tempo libero di pensare a quello che ti piace (anche se non ti da nulla da fare) davvero piuttosto che una scuola nozionistica (che chissà perchè corrisponde spesso e volentieri a scuole che introiettano libri dalle stesse case editrici), perchè alla lunga i nozionisti vengono sorpassati dai creativi…
La prova? Ho visto addirittura filosofi risolvere problemi ingegneristici al posto di tanti ingegneri!
“Ognuno è a suo modo un genio, quindi non puoi presumere che solo in un certo modo si possa acquisire cultura, o che quella cultura sia utile. La mente umana è nata per rispondere agli stimoli reali, quindi nelle maniere più inaspettate trovare soluzioni e strategie geniali… ” aggiungerei solo “fare e” prima di acquisire: non si possono trovare risposte nuove se si applicano tutti le stesse teorie e si seguono pedissequamente degli schemi di apprendimento e ricerca.
Lo sanno benissimo e hanno una paura fortissima del pensiero divergente.
Per parte mia, ho sempre trovato stimoli nelle argomentazioni di coloro che ne sono capaci.
[…] [3] https://www.roars.it/fondazione-agnelli-e-sole-24-ore-insegnanti-sfaccendati-non-si-aggiornan… […]