I presupposti teorici circa il comportamento dell’uomo, la sua razionalità, le sue interazioni, le proprietà emergenti da tali relazioni, il funzionamento del lavoro, della moneta, e tutte le altre assunzioni critiche, come direbbe Milton Friedman, non vengono discussi e talvolta neanche onestamente esplicitati, sebbene influenzino radicalmente le conclusioni analitiche e le implicazioni politiche della teoria mainstream.
Naturalmente con questo non si vuole dire che all’economia manchino le metodologie per rendere esatta la sua analisi. Il problema emerge quando ad una particolare scuola di pensiero viene assicurata, per motivi extra-scientifici, una presunzione di esattezza maggiore delle altre teorie, sebbene queste ultime abbiano superato in maniera più efficace il processo di falsificazione empirica.
La mancanza di pluralismo si deduce quindi non solo dall’assenza nei curricula di filoni alternativi di pensiero ma anche dalla rigidità con cui la teoria tradizionale viene presentata. Il problema è che questa concezione epistemologica non solo è falsa ma ha anche pesanti ripercussioni sulle capacità esplicative dell’economia, ossia sulla comprensione dei fenomeni reali, che vengono spesso quindi mal compresi se non addirittura del tutto ignorati. Mi torna alla mente allora la frase di un mio professore di economia che diceva che la realtà è solo una delle teorie e neanche la più interessante.
E arriviamo ora al secondo filone di critica, quello che riguarda i rapporti esterni all’economia accademica. Per comprendere meglio il funzionamento della scienza economica dobbiamo infatti ricordarci, grazie alla grande lezione degli economisti classici, che l’economia è quella particolare disciplina che regola il conflitto tra interessi economici differenti. Utilizzando la metafora culinaria di una torta a fine pasto, possiamo dire che gli economisti sono quegli studiosi che devono stabilire le modalità migliori per suddividere la torta tra tutti gli invitati. Non c’è da scandalizzarsi nell’ipotizzare che ognuno cercherà di massimizzare la fetta di torta che spetta a lui e ai suoi cari, a scapito degli altri invitati. E che ognuno cercherà quindi di appoggiare la teoria di quello o quell’altro economista che lo legittimerà davanti a tutti gli altri a prendersi la fetta più grande.
È qui che capiamo il nesso indissolubile tra l’economia come disciplina e l’economia come conflitto tra interessi divergenti. L’economia politica, quindi, come direbbe Marx, è quella disciplina che regola questo conflitto attraverso un’interpretazione politica di questo conflitto. Nulla di tecnico, quindi, come sosterrebbe la teoria neoclassica, o naturalmente necessario.
Se comprendiamo tale aspetto, capiamo anche che la scienza economica e la politica economica si influenzano e si legittimano a vicenda in un circolo pericolosamente vizioso. Una politica economica infatti cercherà di supportare il filone teorico che meglio convaliderà le sue scelte distributive, come il filone teorico difenderà le ideologie politiche che seguiranno più pedissequamente i suoi suggerimenti.
Non appare quindi strano ad esempio che le politiche economiche di liberalizzazione, flessibilizzazione del lavoro e di tagli alla spesa pubblica siano avvenute proprio mentre prendeva piede, come dice il professor Francesco Saraceno nel suo libro “La scienza inutile”, l’emersione del monetarismo e del nuovo consenso macroeconomico e la sconfitta delle idee keynesiane. L’economia è quindi più che una scienza sociale una scienza politica, che dipende strettamente dai rapporti di forza e di potere interni alla società.
Sarebbe inoltre ingenuo nel 2018 ritenere che il ripensamento dell’economia passi esclusivamente attraverso una lotta tra keynesiani e neoclassici. Come ha detto giustamente il viceministro Lorenzo Fioramonti, nuove urgenze sono entrate nella nostra quotidianità politica. Il dramma ambientale ad esempio mette a dura prova i modelli di crescita tradizionale, nei quali l’esaurimento delle risorse naturali e l’inquinamento dell’atmosfera non vengono trattati se non marginalmente e sempre con metodi insufficienti. L’economista vede infatti con cattivo occhio le tematiche ecologiche, ritenendole secondarie o comunque poco rilevanti. Tuttavia i dati che stanno emergendo in questi ultimi anni, ad esempio sull’aumento medio delle temperature, richiedono un’attenzione massima e un’integrazione sempre maggiore tra le giuste esigenze di occupazione e di mantenimento dei diritti sociali con la rivoluzione tecnica e politica necessaria ad affrontare il dramma ambientale che metterà a rischio la sopravvivenza stessa della razza umana sulla Terra.
Ecco allora che la scienza economica e il destino delle nostre società non sembrano più campi così indipendenti. Al contrario, la disciplina economica richiede a mio avviso un ripensamento globale e molto profondo. Che sappia aprirsi alla ricchezza di altre scuole di pensiero e le sappia integrare con le nuove esigenze della contemporaneità, e che sappia quindi riformulare molto di ciò che oggi viene dato per scontato nelle università, compresi i criteri di valutazione della ricerca. Non bisogna dimenticarsi infatti che i metodi con cui vengono valutati i ricercatori e stabiliti gli avanzamenti di carriera, come dice il premio Nobel James Heckman, hanno la piccola controindicazione di omologare il pensiero alle teorie mainstream e di asfissiare la libertà intellettuale degli economisti.
Slide della presentazione di F. Sylos Labini
Che la storia economica, e la storia in generale, sia una grande maestra è fuori discussione. Ma dire che il modello neoclassico non è adatto a spiegare l’economia significa non averlo compreso, se non nella esemplificazione didattica di un corso di Economia 1. Come dicevano i “vecchi” maestri, che certo non erano dei fondamentalisti dell’economia marginalista, il mainstream è un mostro con tante teste, e tanti, in questi ultimi cento anni, hanno provato a decapitarlo, senza grande successo. E’ un “mostro” che si rigenera grazie al costante lavoro di migliaia di ricercatori di tutto il mondo che lo hanno passato al setaccio in ogni aspetto e lo hanno fortificato negli anni.
Quello che fa fallire l’economia non è il suo fondamento epistemologico, ma l’inettitudine di una classe politica becera ed ignorante che non sa sfruttarne gli insegnamenti.
Rimando a questo post per approfondimenti sul tema della scientificità dell’approccio neoclassico e dei motivi della sua persistenza accademica: https://www.roars.it/leconomia-neoclassica-una-pseudoscienza-una-discussione-tra-sylos-labini-e-boldrin/
Caro Francesco, dopo 30 anni passati a studiare l’economia e a cercare approcci da mutuare da altre scienze, dalla biomatematica alle scienze cognitive e alle neuroscienze, passando per i sistemi complessi e le equazioni della fisica quantistica, ho maturato una mia visione delle cose personale che sarebbe troppo lunga per un post. Ho avuto il privilegio di incontrare e parlare di queste cose con grandi dell’economia, di varie correnti, dai neo-ricardiani ai “fottuti” marginalisti (e alcuni di loro avevano guadagnato il nobel). Ho avuto il privilegio di un grande maestro, non solo accademico ma di vita. Siete giovani e va bene l’ardore. Ma non perdete l’umiltà del ricercatore. L’economia è un processo complesso, intimamente caotico e non governato dalla legge di Gauss che regge la maggior parte dei metodi empirici che usiamo. Ma tanti giovani lavorano a questo grande progetto di integrare la “scienza” economica e le sue “leggi” con approcci innovativi. Hicks è famoso per aver costruito un modello semplice che integrava la visione neoclassica e quella keynesiana; e viene tuttora insegnato in qualunque corso di economia. E ricorda….un modello che spiega tutto finisce con lo spiegare il niente! Come in meteorologia, se prevedo che domani potrebbe piovere o potrebbe esserci il sole non ho fatto alcuna previsione, basta attendere domani e aprire la finestra. Buon lavoro.
Caro amico, ringrazio per il giovane e per le lezioni sull’umiltà del ricercatore. Farò un corso intensivo. A lei invece suggerisco di capire la differenza tra le previsioni in meteoreologia e in economia perchè mi sembra che abbia idee piuttosto confuse.
Può cominciare da qui ad esempio https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/27/previsioni-del-tempo-e-dei-tempi-gli-errori-dal-meteo-alleconomia/1072547/ e poi magari leggersi questo https://francescosyloslabini.info/rischio-e-previsione/
Io le conosco se non altro perchè faccio il marinaio da trentanni. Ma le polimiche non mi interessano se sono autoreferenziali. Quindi Buon lavoro e fortuna
Buona veleggiata allora e mi riccomando occhio alle tempeste !