È appena stata divulgata la notizia che il MIUR ha istituito (o si appresta a formalizzare) una “vigilanza” ministeriale (affidata ad un giornalista incaricato di monitorare le cose) sui concorsi universitari per assicurare l’oggettiva propensione al “merito”.
Spero che il prof. Conte, presidente del Consiglio, non sia al corrente della cosa (o delle intenzioni). È del tutto plausibile in un momento di così alte tensioni internazionali e preoccupazioni interne. E benché la questione non possa certo avere la importanza delle altre, è necessario tuttavia che ne sia informato. Ed è sperabile che trovi il modo di intervenire con urgenza per scongiurare la fine (ché di questo si tratta) dell’università pubblica in Italia.
Chiunque abbia una conoscenza anche solo elementare della materia, sa benissimo due cose.
La prima. Nessun “giudizio” di nessun tipo (e ad alcun livello) può, purtroppo, sfuggire alla “soggettiva” valutazione di colui che vi è chiamato. E che dunque è puro velleitarismo immaginare che possa essere esposto a “controllo”. Si può solo – con opportuni accorgimenti di sistema – contenere in limiti sopportabili (fisiologici) lo spazio di arbitrarietà del “giudice” (dall’arbitro di calcio a chi siede in un’alta corte di giustizia).
La seconda. Da vari anni, anche a causa dello scempio che ne hanno fatto i professori universitari (ai quali anche il sottoscritto appartiene e dei quali perciò porta anch’egli “oggettivamente” una quota di responsabilità), l’università pubblica è diventata luogo di conventicole (di ogni tipo) e di familismi diffusi. Non tutta, naturalmente. Ma una parte così grande da avere suscitato la giustificata indignazione di tanti. Ma questo non è, non può essere argomento per ignorare che – in nome di una “giustizia” popolare – non si possono affidare le sorti della scienza al pensiero “comune”. La scienza è relativa. Tanto da essere esposta a convinzioni che mutano nel tempo. Ma non è tale se non è coltivata con l’impegno e l’attenzione che solo coloro che ne conoscono a fondo i presupposti di efficacia (conoscenze condivise) sono in grado di riconoscere. Naturalmente si tratta di sapienti “relativi” (tali per il loro tempo e non per sempre). Ma devono essere sapienti. E non vi può essere altro modo per riconoscerli che affidarne il riconoscimento a chi lo è già.
Il problema di contrastare il malcostume, non è quello di rappresentarsi la realtà per quella che non è. Ma quello di aver chiaro come essa è e di disciplinarla perciò nel modo più efficace.
Clientele e familismi non si combattono con le “forme”. Si combattono creando “ambienti” di giudizio sufficientemente larghi per contrastare lo “scambio”. L’attuale regime dei concorsi va semplicemente cancellato.
Uno nuovo potrebbe essere (fatte salve modalità di avvio alla carriera, da precisare):
a) eliminare “idoneità” prive di senso e prevedere un “ruolo unico”, ridando a questo “dignità” (quello di esserlo in un sistema di università “pubbliche”), il che , del resto, sta accadendo, nei fatti, nelle università private, che, fuori da ogni controllo sostanziale, stanno distribuendo “patenti” (molto in uso nei talk show);
b) “localizzare” le procedure, affidando l’elettorato “attivo” non ai gruppi disciplinari, ma a tutti i professori incardinati nelle università pubbliche in ambiti disciplinari “affini”, comprensivi di quello per il quale il dipartimento bandisce il concorso (per esempio, sottolineo per esempio: diritto privato, diritto costituzionale, diritto romano; diritto penale, diritto costituzionale, procedura penale, criminologia, sociologia).
Per divenire commissari si deve godere di fiducia “esterna” e i risultati che si offrono si espongono ad un consenso parimenti “esterno”. Il sistema andrebbe completato sottoponendo i “vincitori” a valutazione periodica di “continuità” scientifica (mediante criteri ragionevoli da determinare, che mettano fine, tra gli altri, anche allo sconcio di una selezione dei “luoghi” di espressione, tipo rivista di fascia tal dei tali, buona solo per fondare nuove consorterie, “anche” di pensiero “unico”).
Si tratta di un commento che “lo fanno, lo fanno, lo faaannnooo”, persino su Roars
https://www.youtube.com/watch?v=fYpY3S1Lj7Y
Il rigore logico surclassa quello di Godel:
A) “che andrebbe in sostanza a sostituirsi alla giustizia amministrativa”
Il Tar corregge gli errori della PA. E’ del tutto auspicabile che la quantità degli atti corretti della PA sia la più alta possibile, ma questo non vuol dire che la PA si sostituisce al TAR. Peraltro, una maggiore professionalità della PA alleggerirebbe il mostruoso carico di lavoro che intasa il TAR con ripercussioni positive a tutti i livelli. Basti pensare che le lungaggini della giustizia amministrativa italiana costituiscono un forte disincentivo alle attività delle imprese italiane e straniere (e.g. fallimenti e licenziamenti causati da errori amministrativi).
La logica sottostante alla frase fatta A) porterebbe a privilegiare il lasciar aperto il rubinetto allagando casa perché chi lo chiudesse si sostituirebbe ai pompieri.
Secondo l’autore, il “sostituirsi alla giustizia amministrativa”, come già osservato deduzione errata, sarebbe stato motivato dal costo degli avvocati:
B) “perché l’avvocato costa troppo”.
Si è invece detto che, peraltro, ciò eliminerebbe dispendiose lungaggini processuali, che è tutt’altra cosa. Sembra anche che il fatto che “l’avvocato costa troppo”, nonché, presumo, i tempi infiniti, siano una sorta di bazzecola. Che dire? Boh!
L’elucubrazione continua “arguendo” che non si capisce per quale motivo l’osservatorio:
C) “dovrebbe essere istituito solo per i concorsi universitari e non per qualsiasi concorso e per qualsiasi tipo di contenzioso.”
Ci si chiede chi abbia mai detto che l’osservatorio del MIUR non debba avere analoghi insediamenti in altri settori della PA. Sempre secondo tale logica, una qualsiasi istituzione dovrebbe evitare di attuare un miglioramento semplicemente perché da altre parti non vien fatto. Ergo C) implica tutti i miglioramenti devono coinvolgere tutte i settori della PA simultaneamente.
Quindi tu (uso il tu da forum se me lo consenti) saresti davvero d’accordo anche per l’osservatorio sui bagnini? Prendo atto. Il problema della lentezza e dei costi della giustizia amministrativa è un dato di fatto e temo che ci dobbiamo adeguare, come vi si adeguano tutti i cittadini italiani senza ricorrere a improbabili osservatori. E poi: chi ci mettiamo nell’osservatorio? Chi decide chi mettere chi nell’osservatorio? Chi osserva l’osservatorio? Che faccio se non sono d’accordo con le osservazioni dell’osservatorio? La legge dello stato esiste proprio per evitare vicoli ciechi di questo tipo. Se vogliamo giocare a fare i logici: io *non* credo che l’osservatorio sarebbe un miglioramento e trovo di gran lunga più rassicurante se chi subisce ingiustizie si rivolge allo Stato e non fa le ronde.
Chi ci mettiamo nell’osservatorio dei bagnini?
Qualcuno che non sa nuotare. Darebbe un bel segnale.
Io ritengo che, come in tanti casi nelle PA, si debba dar la possibilità a chi subisce un giudizio palesemente ingiusto di inoltrare la richiesta di riesame della propria pratica per via gerarchica alla stessa amministrazione.
L’assurdità è che si debba ricorrere al TAR.
Non capisco il tuo riferimento alle ronde, che c’entra con l’osservatorio? C’è forse un garbato tentativo di associare un punto di vista sull’osservatorio alla richiesta di comportamenti vessatori? Spero che tu possa realizzare che non c’entra nulla. Credo invece che i concorsi universitari, che tra ANVUR e valutazione bibliometrica hanno dato il via libera a varie scorribande, debbano essere rivisti. Questo include un serio controllo della regolarità degli atti.
Il controllo degli atti è una procedura che fanno tutte le PA. Anche nei concorsi per bagnini comunali. Già in questo caso potresti obiettare: chi fa questo controllo? Chi sono i funzionari preposti? Chi li nomina? Boh? Vogliamo toglierli? Se una PA si ritrova con un numero ragguardevole di segnalazioni di irregolarità è suo dovere verificare che il controllo degli atti sia ben fatto e, se il caso, intervenire. Secondo il tuo ragionamento non dovrebbe essere fatto alcun controllo, si firma ad occhi chiusi. Se poi qualcuno avrà da ridire vada pure al TAR. Questo non vuol dire che abbiamo la certezza che l’osservatorio avrà effetti positivi sull’Università, dipende da come sarà concepito. Di apparentemente positivo c’è che il sottosegretario sembra poco propenso ad accettare lo status quo ed ha fatto critiche al sistema che sono in gran parte condivisibili.
Sì, a me sta tutto sommato bene così: la regolarità degli atti la firma il Rettore e se qualcuno ha da ridire va al TAR. Il tuo ragionamento andrebbe bene in un mondo perfetto, non nell’Italia di oggi. Io temo fortemente che l’osservatorio diventerebbe nel giro di pochissimo tempo luogo di spietata guerra per bande; e visto cos’è successo con l’ANVUR io tendenzialmente mi sento più tutelato da un giudice che da un collega messo lì dal ministero (collega col quale magari io o il mio allievo abbiamo vecchie ruggini).
Chi osserverà l’osservatorio?
Prima dovremmo definire il concetto di osservabile :-)
Vedete che torniamo sempre al punto che non ci fidiamo di chi ci giudica? Questo la dice lunga sul disagio che viviamo!